Free Exam: COMPRENSIONE_1
Number of Questions in Test: 17
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[color=#ff0000]Leggi il testo:[/color]
[b]Il danno all'ambiente è anche psicologico[/b]
[b]
I cambiamenti climatici aumentano la depressione e l'uso della violenza. A dirlo uno studio di due psicologi statunitensi, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista American Psychologist. Quel che succede all'ambiente può dunque ricadere sullo stato della nostra salute psicologica.
Tra le conclusioni di questa ricerca c'è anche che l'aumento medio della temperatura di almeno due gradi Fahrenheit possa aumentare gli omicidi e le aggressioni. Questo probabilmente nei casi di persone che hanno già una situazione psicologica precaria.
Ma il cambiamento del tempo e del clima può creare anche delle più miti meteoropatie, oppure in alcuni casi delle situazioni di ansia ambientale: persone talmente preoccupate di quel che accadrà al Pianeta da andare in crisi. Altre persone, al contrario, non hanno la minima preoccupazione. Probabilmente questo accade perché la televisione trasmette così tante notizie, su cambiamenti climatici e fenomeni meteorologici catastrofici, che si crea una sorta di assuefazione psichica.
Da non sottovalutare gli stati di disturbo post traumatico da stress, che si osservano costantemente tra la popolazione esposta ai grandi fenomeni meteorologici. In futuro aumenteranno i profughi ambientali, principalmente per la scarsità delle risorse idriche, una situazione che peggiorerà con i cambiamenti climatici dovuti a cause antropiche (dell'uomo). Infatti l'uomo influisce sull'ambiente modificandolo continuamente per adattarlo alle proprie esigenze: trasforma e altera l'ambiente naturale, per renderlo più consono ai propri fini, lo modifica in un modo che può ripercuotersi nel campo biologico o spaziale a breve o lungo termine spesso con effetti nocivi. Questo fenomeno prende il nome di "antropizzazione".
Forse è bene chiederci, come fanno gli ecologi e gli ambientalisti, se la spinta verso il progresso e lo sviluppo delle attività umane debba tenere conto, e in quale misura, dei turbamenti che avvengono negli equilibri naturali; se sia lecito distruggere un ecosistema per promuovere l'insediamento di nuove attività umane; fino a che punto si possano utilizzare le risorse definite "non rinnovabili"; quali siano le concrete possibilità per attuare uno sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo della società umana compatibile con le esigenze dell'ambiente.[/b]
[b][color=#ff0000]In base al contenuto del testo scegli l`alternativa più appropriata per completare le frasi che seguono.[/color]
[/b]
[b]Lo studio di due psicologi statunitensi:[/b]
[b]Il danno all'ambiente è anche psicologico[/b]
[b]
I cambiamenti climatici aumentano la depressione e l'uso della violenza. A dirlo uno studio di due psicologi statunitensi, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista American Psychologist. Quel che succede all'ambiente può dunque ricadere sullo stato della nostra salute psicologica.
Tra le conclusioni di questa ricerca c'è anche che l'aumento medio della temperatura di almeno due gradi Fahrenheit possa aumentare gli omicidi e le aggressioni. Questo probabilmente nei casi di persone che hanno già una situazione psicologica precaria.
Ma il cambiamento del tempo e del clima può creare anche delle più miti meteoropatie, oppure in alcuni casi delle situazioni di ansia ambientale: persone talmente preoccupate di quel che accadrà al Pianeta da andare in crisi. Altre persone, al contrario, non hanno la minima preoccupazione. Probabilmente questo accade perché la televisione trasmette così tante notizie, su cambiamenti climatici e fenomeni meteorologici catastrofici, che si crea una sorta di assuefazione psichica.
Da non sottovalutare gli stati di disturbo post traumatico da stress, che si osservano costantemente tra la popolazione esposta ai grandi fenomeni meteorologici. In futuro aumenteranno i profughi ambientali, principalmente per la scarsità delle risorse idriche, una situazione che peggiorerà con i cambiamenti climatici dovuti a cause antropiche (dell'uomo). Infatti l'uomo influisce sull'ambiente modificandolo continuamente per adattarlo alle proprie esigenze: trasforma e altera l'ambiente naturale, per renderlo più consono ai propri fini, lo modifica in un modo che può ripercuotersi nel campo biologico o spaziale a breve o lungo termine spesso con effetti nocivi. Questo fenomeno prende il nome di "antropizzazione".
Forse è bene chiederci, come fanno gli ecologi e gli ambientalisti, se la spinta verso il progresso e lo sviluppo delle attività umane debba tenere conto, e in quale misura, dei turbamenti che avvengono negli equilibri naturali; se sia lecito distruggere un ecosistema per promuovere l'insediamento di nuove attività umane; fino a che punto si possano utilizzare le risorse definite "non rinnovabili"; quali siano le concrete possibilità per attuare uno sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo della società umana compatibile con le esigenze dell'ambiente.[/b]
[b][color=#ff0000]In base al contenuto del testo scegli l`alternativa più appropriata per completare le frasi che seguono.[/color]
[/b]
[b]Lo studio di due psicologi statunitensi:[/b]
Type: | Multiple response |
Points: | 1 |
Randomize answers: | No |
Question 2
[b]Dai risultati dello studio, pubblicati sulla rivista American Psychologist, si evince che :[/b]
Type: | Multiple response |
Points: | 1 |
Randomize answers: | No |
Question 3
[b]L'antropizzazione consiste:[/b]
Type: | Multiple response |
Points: | 1 |
Randomize answers: | No |
Question 4
[b]Sarebbe bene chiedersi:[/b]
Type: | Multiple response |
Points: | 1 |
Randomize answers: | No |
Question 5
[color=#ff0000]Leggi il seguente brano e indica tra le quattro possibilità - a, b, c, d - quella esatta in riferimento al brano letto.[/color]
[b]Internet: superficiali, smemorati, confusi. Ecco in che stato ci riduce il web.[/b]
[b]Aveva già detto che Google ci rende stupidi. Ora il giornalista del New York Times, Nicholas Carr, rincara la dose e, pareri di scienziati alla mano, sostiene che la rete ha cancellato la nostra capacità di 'pensiero profondo'. Rendendoci frettolosi, distratti e schiavi dei clic.
[/b]
[b]Il saggio di Carr 'Cosa sta facendo l'uso di Internet al nostro cervello?' ha acceso un formidabile dibattito tra gli esperti del settore.
[/b]
[b]Spiega Carr che quando siamo online si rinforzano i circuiti neurali che usiamo per analizzare superficialmente e rapidamente grandi quantità di informazioni e si indeboliscono quelli che ci permettono di capire a fondo ciò che stiamo leggendo.
[/b]
[b]Anche secondo Clifford Nass, docente di comunicazione a Stanford, le persone più vulnerabili alle distrazioni sono coloro che fanno un uso intensivo di email, sms, siti web, social network, perché con il tempo il cervello si abitua ad un processo di attenzione 'dal basso', dove ogni minimo stimolo diventa importante e la scelta sulle cose da osservare o ignorare diventa sempre meno consapevole.
[/b]
[b]Sotto accusa è innanzitutto l'ipertesto perché, come ha dimostrato una ricercatrice dell'Università del Michigan, la nostra comprensione diminuisce quanti più link sono presenti nella pagina, perché aumenta il tempo speso a decidere se seguirli o meno. Le decisioni da prendere durante la navigazione minano la nostra concentrazione.
[/b]
[b]Navigare attraverso gli ipertesti, cioè passare di collegamento in collegamento, è più impegnativo che leggere un libro o un giornale, e ci lascia conoscenze meno approfondite.
[/b]
[b]La nostra vulnerabilità maggiore? La plasticità del cervello. Con l'uso continuo di Internet privilegiamo i circuiti che ci permettono di raccogliere informazioni in modo superficiale. Ci concentriamo meno e ricordiamo meno.
[/b]
[b]Questo è l'effetto del web sulla memoria a breve termine, quella che accoglie le informazioni prima che queste possano essere conservate nella memoria a lungo termine.
[/b]
[b]La memoria a breve termine ha una capacità molto limitata: contiene solo quello di cui siamo consci di momento in momento. Essa non ha bisogno di molto spazio perché quando ospita un'informazione che riteniamo utile, l'attenzione che prestiamo a quel dato fa sì che venga trascritto nella memoria a lungo termine ed è solo a questo punto che si formano le ricche connessioni neuronali che danno profondità e rigore concettuale alle nostre idee. Ma se siamo continuamente interrotti, alle informazioni viene meno il tempo sufficiente per transitare nella memoria a lungo termine.
[/b]
[b]In realtà siamo preda di un flusso costante di distrazioni che non ci fa mai sentire socialmente isolati. Sia che si tratti di Facebook o di Twitter, ciò che la rete ci offre è un flusso costante di interruzioni e la loro assenza, soprattutto per i più giovani, può farci sentire socialmente isolati.[/b]
[b]5. Nicholas Carr, giornalista del New York Times: [/b]
[b]Internet: superficiali, smemorati, confusi. Ecco in che stato ci riduce il web.[/b]
[b]Aveva già detto che Google ci rende stupidi. Ora il giornalista del New York Times, Nicholas Carr, rincara la dose e, pareri di scienziati alla mano, sostiene che la rete ha cancellato la nostra capacità di 'pensiero profondo'. Rendendoci frettolosi, distratti e schiavi dei clic.
[/b]
[b]Il saggio di Carr 'Cosa sta facendo l'uso di Internet al nostro cervello?' ha acceso un formidabile dibattito tra gli esperti del settore.
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[b]Spiega Carr che quando siamo online si rinforzano i circuiti neurali che usiamo per analizzare superficialmente e rapidamente grandi quantità di informazioni e si indeboliscono quelli che ci permettono di capire a fondo ciò che stiamo leggendo.
[/b]
[b]Anche secondo Clifford Nass, docente di comunicazione a Stanford, le persone più vulnerabili alle distrazioni sono coloro che fanno un uso intensivo di email, sms, siti web, social network, perché con il tempo il cervello si abitua ad un processo di attenzione 'dal basso', dove ogni minimo stimolo diventa importante e la scelta sulle cose da osservare o ignorare diventa sempre meno consapevole.
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[b]Sotto accusa è innanzitutto l'ipertesto perché, come ha dimostrato una ricercatrice dell'Università del Michigan, la nostra comprensione diminuisce quanti più link sono presenti nella pagina, perché aumenta il tempo speso a decidere se seguirli o meno. Le decisioni da prendere durante la navigazione minano la nostra concentrazione.
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[b]Navigare attraverso gli ipertesti, cioè passare di collegamento in collegamento, è più impegnativo che leggere un libro o un giornale, e ci lascia conoscenze meno approfondite.
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[b]La nostra vulnerabilità maggiore? La plasticità del cervello. Con l'uso continuo di Internet privilegiamo i circuiti che ci permettono di raccogliere informazioni in modo superficiale. Ci concentriamo meno e ricordiamo meno.
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[b]Questo è l'effetto del web sulla memoria a breve termine, quella che accoglie le informazioni prima che queste possano essere conservate nella memoria a lungo termine.
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[b]La memoria a breve termine ha una capacità molto limitata: contiene solo quello di cui siamo consci di momento in momento. Essa non ha bisogno di molto spazio perché quando ospita un'informazione che riteniamo utile, l'attenzione che prestiamo a quel dato fa sì che venga trascritto nella memoria a lungo termine ed è solo a questo punto che si formano le ricche connessioni neuronali che danno profondità e rigore concettuale alle nostre idee. Ma se siamo continuamente interrotti, alle informazioni viene meno il tempo sufficiente per transitare nella memoria a lungo termine.
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[b]In realtà siamo preda di un flusso costante di distrazioni che non ci fa mai sentire socialmente isolati. Sia che si tratti di Facebook o di Twitter, ciò che la rete ci offre è un flusso costante di interruzioni e la loro assenza, soprattutto per i più giovani, può farci sentire socialmente isolati.[/b]
[b]5. Nicholas Carr, giornalista del New York Times: [/b]
Type: | Multiple choice |
Points: | 1 |
Randomize answers: | No |